Il tralcio e la vite . Giovanni 15:1-8
Parabola conosciuta… Gesù fa un paragone fra Lui e una vite, fra i Suoi discepoli e i tralci che, da questa vite, traggono tutta la loro vita e produttività. Gesù per ben sette volte, nel vangelo di Giovanni, presenta se stesso attraverso immagini che efficacemente descrivono la Sua identità e funzione: Gesù dice: “Io sono il pane della vita” (6:35); “Io sono la luce del mondo” (8:12); “Io sono la porta delle pecore” (10:7); “Io sono il buon pastore” (10:14); “Io sono la risurrezione e la vita” (11:25); “Io sono la via, la verità e la vita” (14:6). Nell’ultimo dei sette grandi “Io sono“, “Io sono la vera vite” (15:1). L’illustrazione che Gesù usa, così, è quella della coltivazione della vite, ancora oggi diffusa in Israele. L’uva è indubbiamente un ottimo frutto e quando da esso si ricava il vino, si tratta di un eccellente prodotto. Del vino la stessa Bibbia dice che “rallegra il cuore dell’uomo” (Sl. 104:15), e persino che “rallegra Dio” (Gd. 9:13). Usato con moderazione, può diventare persino una medicina.”Non continuare a bere acqua soltanto, ma prendi un po’ di vino a causa del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni” (1 Ti. 5:23). Vigna, vite, tralci, uva, vino, la sua coltivazione e lavorazione, diventano spesso, nelle Sacre Scritture, illustrazione di realtà spirituali.
La vera vite: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (1). Che cosa intende dire? Israele era stato descritto nell’A.T. come la vigna scelta di Dio, sulla quale, come un diligente vignaiolo, aveva profuso cure ed attenzioni, e da cui, giustamente, si attendeva del frutto. Ma non arriva… ecco che a suo tempo Dio manda Gesù, il Suo unico Figlio, “la vera vite“. Fedelmente adempie i propositi di salvezza. Chiunque riconosce e confessa il suo peccato ed il suo bisogno, affidandosi “anima e corpo” al Signore e Salvatore Gesù Cristo, vede ristabilita per se la comunione con Dio. Scopre una vita sana, producente e fruttuosa. Perché? Proprio perché è stata “ricollegata” alla fonte stessa della vita, da cui sola può scorrere “linfa vitale“.
Il frutto che si attende: A che serve una vigna, se non a produrre frutto, ad essergli utile secondo i fini per i quali era stata piantata e curata? Dio desidera che da coloro che Egli sceglie (il Suo popolo, la Sua Chiesa), Egli desidera il frutto, di cui parla per ben otto volte in questo capitolo. in progressione: frutto (2), più frutto (2), molto frutto (5, 8), ed essa è in grado di produrlo se ben collegata alla vite. Il frutto che Dio desiderava dal Suo popolo era ubbidienza amorevole, giustizia (Is. 5:1-7). Questo stesso frutto Egli si aspetta da coloro che appartengono al Suo popolo: una fiduciosa ubbidienza alla Sua volontà che sgorga dall’amore, una vita giusta e buona conforme ad essa, la giustizia e la pace, intorno a coloro che a Dio fedelmente ubbidiscono. Dio opera sulla Sua vigna affinché produca frutto, e lo fa in due modi: “Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più” (2). Ogni anno, in Palestina, i coltivatori potano le loro vigne, tagliando i rami morti e curando quelli vivi, affinché si sviluppino e crescano. Il tralcio che non porta frutto è chiaramente morto, e perciò è tagliato via. E’ meraviglioso vedere come Dio si prenda cura dei Suoi e come essi “producano” alla Sua gloria. Possiamo far parte di loro.!
Il segreto della produttività: Nelle fabbriche e negli uffici, ciò che conta per il successo economico dell’azienda è la produttività. Esistono degli esperti che studiano il modo in cui aumentare la produttività. A livello, però, del singolo cristiano e della sua comunità, come discepoli di Gesù, qual è “il segreto” per essere veramente produttivi? Lo dice Gesù: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me” (4). Una vita che voglia essere davvero realizzata e produttiva, può solo essere ottenuta in stretta comunione con il Signore e Salvatore Gesù Cristo. “Dimorare” Che cosa significa “dimorare in Cristo”? In primo luogo accettare veramente con fiducia Gesù come proprio Salvatore, Signore, Guida, Maestro, non a parole, ma nei fatti! Poi significa perseverare nella fede, essere costanti., coerenti in questa professione di fede. Gesù dice: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli” (8:31). In terzo luogo, “dimorare in Cristo” significa vivere nell’ubbidienza. “Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore” (Gv. 15:9,10). Non è possibile vivere in modo autentico, pieno e fecondo, lontano da Dio. In Gesù e con Gesù possiamo avere quella comunione con Dio che ci permetterà di “dare frutto“.
Non c’è produttività senza Gesù!: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla” (5). L’espressione che Gesù usa è radicale, solo Lui può permettersi di farlo, Egli è il “legittimo proprietario” della “azienda” e sa ciò che sta dicendo! “produciamo” se si stiamo in stretto e costante contatto con Lui, sé no il contrario: “Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano” (6). Che cosa intendeva dire Gesù? I tralci “bruciati” possono essere quei cristiani di nome soltanto, come Giuda, non sono veramente “a posto“, in condizione di salvezza, e perciò saranno severamente giudicati dalle evidenze stesse della loro vita. Come un ramo morto, secco, chi è senza Cristo, quand’anche facesse professione esteriore di fede, è destinato a ciò che la Bibbia chiama “fuoco eterno” (Mt. 25:46). sembra “un tralcio” come gli altri, ma “i fatti” contano. Tanti oggi si dicono cristiani, ma …tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare! Da che cosa si distingue il vero cristiano? Dalla sua ubbidienza alla Parola di Dio, e da null’altro. L’ubbidienza è uno dei concetti centrali nella professione della fede cristiana. L’apostolo scrive: “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Gv. 5:3-4). I comandamenti di Dio non sono gravosi, ma devono essere ubbiditi.
Ecco dunque l’affermazione finale, riassuntiva, che il Signore ci vuole comunicare : “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli” (8).
La nostra vita avrà un suo senso e soddisfatta quando sarà effettivamente “produttiva” per Dio, alla cui gloria e servizio eravamo stati creati. Qual è il segreto di questa produttività? Il nostro legame con Cristo, che deve essere autentico, reale, costante. E’ un legame fatto di conoscenza, fiducia ed ubbidienza. Solo così, a livello singolo e comunitario “porteremo frutto“.